Quando Evola scrisse ad Almirante (prima parte)

Le recenti elezioni politiche in Italia hanno sancito l’ampiamente prevista vittoria di “Fratelli d’Italia”, primo partito italiano con quasi il 27% del consensi proporzionalmente al sia pur basso numero di votanti. Quale sarà la linea politica interna ed internazionale che seguirà il nuovo governo a (quasi sicura) guida Giorgia Meloni? Non intendiamo dilungarci al riguardo, anche perché la risposta, per i nostri lettori, è piuttosto scontata (i segnali al riguardo sono già evidenti), per tante ragioni, politiche e soprattutto metapolitiche, ben chiare a chi abbia una salda e consolidata visione della storia e della realtà quale può dare la conoscenza delle dottrine tradizionali. In questo contesto, risulta assai significativo riproporre uno Julius Evola piuttosto inconsueto nelle vesti di “telespettatore” che, dopo aver assistito ad una puntata della celebre rubrica RAI “Tribuna Politica” del 23 febbraio 1967, in cui intervenne Giorgio Almirante, decise di scrivere allo storico segretario del M.S.I. una sorta di “lettera aperta” per commentare le sue parole che, al di là della prudenza e dell’abilità dialettica d’ordinanza, avevano presentato “oscillazioni e reticenze” che avevano ingenerato nel barone e in suoi “vari amici” parecchie perplessità. Evola inizia “affettuosamente” la sua lettera rievocando i ricordi degli incontri con il suo interlocutore nelle redazioni de “Il Tevere” (dove un Almirante neanche ventenne iniziava negli anni Trenta la sua carriera come cronista), e de “La difesa della razza” (dove Almirante fu segretario del comitato di redazione dal 1938 al 1942). La lettera  fu pubblicata il marzo successivo su “Noi Europa”, giornale ordinovista diretto da Pino Rauti, e successivamente ripresa su “I testi di Ordine Nuovo” per le Edizioni di AR. LA versione che presentiamo è tratta dalla storica rivista Heliodromos, la cui redazione curò anche le note esplicative.

***

di Julius Evola

Tratto da “Noi Europa”, marzo 1967

Le risposte di Almirante all’ultima trasmissione di «Tribuna politica» hanno suscitato molte polemiche nei nostri ambienti. Quale sia il nostro reciso parere al riguardo, lo abbiamo precisato la settimana scorsa in un’apposita nota su «Corrispondenza Europea». Siamo anche lieti – e onorati – di pubblicare adesso questa «lettera» di Julius Evola, che entra con l’abituale lucidità di sintesi neo molti problemi di fondo che quella «esibizione» ha messo in luce, e che vanno ben al di là della stessa persona del protagonista della serata televisiva. (*)

***

Caro Almirante,
permetterai che usi lo stesso modo di interpellare che ci era abituale quando, molto tempo fa, ci si incontrava nella redazione de «Il Tevere» e della «Difesa della Razza», in queste righe ove vorrei riferire alcune impressioni del dibattito televisivo del 23 febbraio, di cui sei stato il centro. (1)

Noi EuropaTu lo hai condotto in modo abile e «prudente», e nelle parole conclusive e coraggiose riguardanti l’atteggiamento che attribuisci al MSI non posso che essere d’accordo: «no deciso alla partitocrazia», dichiarazione «della fine, del crollo, del fallimento della democrazia parlamentare», «no a tutto ciò che venti anni or sono è stato presentato come frutto della liberazione» (2).
Ma in alcuni punti vi sono state delle oscillazioni e reticenze che hanno lasciato me e vari amici piuttosto perplessi (3). Indico brevemente l’essenziale.

Sebbene anche gli avversari hanno convenuto nel riconoscere la crisi del prestigio dello Stato italiano e l’urgente necessità di ripristinarlo, si ha una specie di complesso di angoscia nel parlare del principio di autorità, principio senza il quale il superamento della partitocrazia è impossibile, una struttura comunque gerarchica, in opposto a quella democratica, è inconcepibile e lo stesso ordinamento corporativo potrebbe presentare seri pericoli ed essere privo di un centro di gravità.

Ancora una volta sono stati tirati in ballo manganelli ed olio di ricino: e si è messa avanti la «violenza» come metodo specificatamente fascista. Ebbene, non sarebbe stato il caso di dire che una violenza chiama e giustifica l’altra (4), che quando lo Stato non ha la forza per opporsi alla sovversione e stroncarla, non vi sono altri mezzi per salvarlo, come quando in un organismo canceroso resta solo da ricorrere ad un intervento chirurgico (5)? Naturalmente, a Genova, a S. Paolo (6) e in tante altre occasioni non vi è stata «violenza» contro gli agenti, condannati all’oltraggio e all’inazione, per ordine superiore: sono stati soltanto buttati fuori. La violenza – ti hanno detto – è cosa propria ai «fascisti» e non bisogna predicarla. Io avrei avuto piacere, invece di sentirmi dire: «io senz’altro la condanno», che avessi dichiarato che, dato lo stato attuale, santissima cosa sarebbe, ove possibile, l’insorgere di elementi sani della nazione sino a formare squadre d’azione per combattere la sovversione e distruggere i focolari, compresi quella di quegli sfacciati ricatti sociali e politico-sociali a catena che sono gli scioperi da noi ormai pandemici (piaccia o meno all’on. Roberti e a tutti coloro che anche all’interno del MSI brucano incenso dinnanzi al nuovo idolo, alla sacrosanta «classe lavoratrice»). (7)

A chi ti ha chiesto di «liberarti dalla mentalità fascista» e di cessare di usarne oggi miti tu hai risposto che non ti senti il bisogno di liberarti di nulla, «quello che ero, come stato d’animo e mentalità, sono rimasto e lo rivendico», cercando solo di aggiornare le formule. Benissimo. Ma quando Scheneider fra le formule di ieri che «farebbero ridere» ha citato l’autarchia, il «libro e moschetto fascista perfetto», il «molti nemici, molto onore», la frase «la guerra sta all’uomo come la maternità sta alla donna», ecc. io direi che si sarebbero dovute mettere recisamente le cose a posto, facendo risultare la validità di atteggiamenti separabili dal loro modo di manifestarsi nel fascismo o in certo fascismo. Si sarebbe dovuto affermare, senza mezzi termini, che l’autarchia nella misura in cui sia realizzabile malgrado le cosiddette «ferree leggi dell’economia», in via di principio sarebbe cosa validissima e un principio normativo, ed anche nelle presenti condizioni si dovrebbe essere disposti a pagare un prezzo magari un poco alto per assicurarsi un massimo di autonomia nazionale (8).

«Molti nemici, molto onore» – nulla da cambiare, per ogni uomo che ha una qualche fierezza. La formula col libro e moschetto può essere un po’ grossolana, ma se ci riporta all’ideale di un tipo nel quale la formazione intellettuale si unisca ad una formazione virile e guerriera, è da chiedersi che cosa vi sia da obiettare: qual è l’ideale della gioventù che l’Italia liberata ha saputo produrre o proporre?

Almirante con una copia de Il Secolo d'Italia
Almirante con una copia de Il Secolo d’Italia che celebra la vittoria del Movimento Sociale Italiano alle elezioni regionali in Sicilia del 1971

Forse quello dei giovani ye-ye e beat, naturalmente di altissima levatura etica e morale? E come la mettiamo col clima che sta producendo il moltiplicarsi pauroso della delinquenza e delle forme più piatte e sfasate di corruzione? Pei rapporti analogici fra donna e maternità (o amore), fra uomo e guerra, nessun uomo e nessuna donna di «razza», degni di tale nome, avrebbero da ridire. Meglio forse che l’uno e che l’altra come ideale scelgano l’abbrutirsi nei trivi della «produzione» e del «lavoro» in una società sempre più meccanizzata e anodina, priva di ogni vero senso? Pacifismo ad ogni costo e obiezione di coscienza questo è da riconoscersi come il più alto ideale di ogni umanità progredita? Anche qui si sarebbero dovute dire chiare parole. Uno Jünger e altri hanno indicato le possibili dimensioni spirituali che perfino una guerra totale moderna possono presentare (9). Dimenticavo, però, che, naturalmente, una guerra possono farla solo i capitalisti e gli imperialisti. Nel Vietnam, ad esempio i comunisti e i guerriglieri «non fanno la guerra, fanno l’amore». E via dicendo (10).

Note a cura di Heliodromos

(*) questo cappelletto curato dalla redazione di «NOI EUROPA» introduceva la lettera di Evola, per rigore di cronaca lo abbiamo voluto pubblicare così come è apparso allora. Le note inserite nel corpo della lettera sono state curate dalla redazione di HELIODROMOS ed hanno uno scopo solo esplicativo per i nostri lettori più giovani.

(1) A parte le sfasature ideologiche e culturali, che Evola mette bene in rilievo nella sua lettera, e al di là della mostra di sé, a cui Almirante è stato sempre sensibile, bisogna ricordare che quella trasmissione destò nei telespettatori parecchio interesse che negli anni immediatamente successivi, sebbene per breve tempo, si sarebbe trasformato in consenso e successo elettorale.

(2) Le parole riportate fra virgolette sono quelle pronunciate da Almirante nel corso della trasmissione televisiva.

(3) Evola fa riferimento all’equivoco corporativistico. Infatti nel linguaggio almirantiano non è stato chiaro se il Corporativismo debba intendersi come organizzazione sociale e rappresentativa delle categorie di uno Stato organico e gerarchico, ovvero come un correttivo della democrazia parlamentare; in quest’ultimo caso, come osserva più sotto Evola, è impossibile parlare del superamento della partitocrazia.

(4) In realtà Almirante accolse questo suggerimento, ma si sarà certamente pentito di averlo fatto. Ricordiamo ai nostri lettori che nei primi anni del 1970, quando iniziarono i primi pestaggi dei rossi contro i giovani di destra, in un comizio tenuto a Firenze egli sostenne la necessità di difendersi dinnanzi agli aggressori. Si levò un «vergineo» biasimo dei «gazzettieri» del regime e Almirante nei fatti si comportò come se non avesse mai lanciato quella sfida.

(5) Onde evitare equivoci e malintesi sottolineamo che Evola parlando di questo stato lo paragona ad un organismo canceroso.

(6) Genova e il quartiere romano di S. Paolo, dove i marxisti nel «60», con l’assoluzione di Fanfani, scatenarono una sommossa contro il governo Tambroni, appoggiato dall’esterno dal MSI.

(7) Gianni Roberti per molti anni tenne contemporaneamente le cariche della Segreteria generale della CISNAL e la presidenza del gruppo MSI alla Camera, poi scissionista con altri deputati fondò Democrazia Nazionale.

(8) Il colmo del ridicolo di questi allegri anti-autarchici sta proprio nel fatto che oggi, costretti dai fatti, invitano a comprare auto italiane, a consumare carne prodotta in Italia (polli e tacchini) e, persino, a volare su aerei di compagnie italiane.

(9) Su questo tema si veda nelle pagine seguenti il dibattito su La Pietra e le Uova.

(10) Oggi si potrebbero aggiungere Cambogia e Afghanistan.

 

Tratto da RigenerazionEvola